Dominae e moda: Agrippina Maggiore, la matrona perfetta
Osservando i ritratti marmorei di età romana presenti presso la Sala IX, si può notare la presenza di quello appartenente ad Agrippina Maggiore, un personaggio femminile di rilievo della dinastia Giulio-Claudia. Figlia di Giulia e Agrippa, nipote di Augusto, moglie di Germanico e madre di Caligola, Agrippina, o meglio, Vipsania Giulia Agrippina, nacque nel 14 a.C. e ad appena due anni rimase orfana del padre, assistendo al fallimento di tutte le manovre politiche tentate da Augusto per la successione. Costretto dalle circostanze (volute o meno) a cambiare più volte piani, il princeps designò quindi Tiberio, il quale nel frattempo aveva sposato Giulia, dando vita ad una unione destinata presto a naufragare.
In questo contesto, Agrippina crebbe venendo educata a conformarsi ai dettami del mos maiorum, ma allo stesso tempo ricevendo per volere di Augusto un’istruzione di qualità elevata. Allontanata la madre Giulia e una volta morti i fratelli Gaio e Lucio, Agrippina nel 5 d.C. venne data in moglie a Germanico, nipote sia di Augusto, sia di Tiberio: personaggio potenzialmente candidabile al trono imperiale, Germanico era un uomo di valore umano e militare. Da questa unione, Agrippina diede alla luce sei figli maschi (alcuni morti prematuramente) e tre figlie femmine, rispettando così i dettami augustei riguardanti la prolificità matrimoniale, tanto da venire celebrata come modello femminile ideale: la coppia, inoltre, era stata capace di creare così un legame di sangue tra i due rami della dinastia.
Dopo la morte di Augusto nel 14 d.C., Tiberio divenne imperatore, mentre Germanico era stato inviato a stabilizzare il limes renano e vendicare la disfatta di Teutoburgo del 9 d.C. Ovviamente, Agrippina seguì il marito e si rese protagonista di alcuni episodi legati alla propria fama: scoppiata una rivolta tra le legioni del Reno, la matrona aveva fatto leva sulla sua reputazione ed il figlioletto Caligola per accattivarsi le simpatie dei soldati e, di conseguenza, favorire l’ascesa al trono del marito, di fatto orchestrando una possibile eversione contro Tiberio.
Agrippina cercò quindi di portare dalla sua parte i legionari del Reno supportandoli ed incitandoli in ogni occasione, avendo compreso che il loro malcontento per le condizioni di arruolamento e il loro peso politico potevano tornare a suo vantaggio. Tuttavia, Germanico non assecondò questi piani, il che permise la definitiva ricomposizione della rivolta, oltre al ritorno della tranquillità politica e familiare. Tiberio, però, nel 16 d.C. richiamò Germanico a Roma nonostante i risultati sostanzialmente positivi che questi aveva ottenuto: vista la sua conoscenza del territorio, decise di non insistere in nuove campagne e di limitarsi a presidiare il limes per non sprecare altre risorse, anche se secondo Tacito ciò avvenne invece perché il princeps temeva la popolarità del nipote e ne invidiava i successi.
L’anno successivo, dopo la celebrazione del trionfo, Germanico fu inviato in Siria, dove collaborò con Calpurnio Pisone, governatore neo eletto della provincia: ma fin da subito, il senatore avrebbe attuato delle macchinazioni per evitare che il giovane generale potesse raccogliere consensi tra le legioni orientali. Allo stesso tempo, Agrippina dovette fare i conti con le analoghe trame della moglie del governatore, Munazia Plancina, in un piano generale di delegittimazione successivamente attribuito a Tiberio.
La coppia, destinataria di diversi onori, ad esempio in Egitto, li aveva accettati di buon grado stringendo legami con dinastie ed élites orientali, anche in un’ottica di futura eredità dell’impero: Pisone e Plancina avrebbero quindi cercato di arginare manovre e atteggiamenti ritenuti inopportuni. Quando nel 19 d.C., Germanico si ammalò ad Antiochia, sembra avesse sospettato fin dall’inizio di essere vittima di un avvelenamento da parte del governatore, raccomandandosi con la moglie, prima di morire, di non sfidare il potere di Tiberio al fine di tutelare sé stessa e i figli.
Dopo la morte e i funerali del marito ad Antiochia, Agrippina ne riportò le ceneri a Roma, in un clima di profondo cordoglio e di sospetto verso l’imperatore. Lo stesso sbarco a Brindisi sarebbe stato orchestrato dalla matrona in modo da accrescere il più possibile consensi ed empatia popolare nei suoi confronti, sottolineando la propria virtù nell’atto di trasportare personalmente l’urna e la discendenza diretta da Augusto, contemporaneamente ponendo Tiberio in difficoltà: nella stessa Tabula Siarensis, contenente gli onori attribuiti a Germanico dal Senato, Agrippina ottenne una menzione specifica. Invece, Pisone e Plancina, seppur processati furono sostanzialmente sollevati da accuse.
Il ritratto marmoreo nella Sala IX raffigura bene la forte personalità di Agrippina: esso si riferisce ad una tipologia fatta derivare da quello conservato ai Musei Capitolini, adottata sia in vita, sia dopo la morte della matrona. I suoi lineamenti, seppur idealizzati e classicheggianti, sono però in grado di esprimere dignità e malinconia, accentuate dalla profondità degli occhi oltre che dall’inclinazione della testa. Ma una particolare attenzione va attribuita alla capigliatura: all’austerità dei costumi dettata da Augusto erano corrisposte infatti pettinature sobrie, ben esemplificate da quella dell’augusta Livia. Ovviamente, col passare del tempo questi canoni cominciarono gradualmente a comunicare minore severità: il nodo frontale lasciò spazio a capelli separati al centro con ciocche ondulate sui lati, raccolti in una coda sopra le spalle. L’artefice di un primo vero rinnovamento dell’immagine femminile fu proprio Agrippina Maggiore, la cui capigliatura ondulata era stata adornata da riccioli sulle tempie (realizzati con l’uso del trapano) a coprire le orecchie, con ciocche in parte libere lungo il collo e in parte legate in una coda. Era un evidente riferimento ad ideali di bellezza classici, connessi alla figura di Venere e ai suoi boccoli, simbolo di ricchezza e benessere: si trattava di una nuova moda, seguita sia nella dinastia imperiale, sia negli ambienti privati, destinata a condurre verso nuove, elaborate, soluzioni.
Negli anni successivi alla morte di Germanico, la fazione facente capo ad Agrippina cominciò però ad indebolirsi con l’ascesa del prefetto del pretorio Seiano: mentre questo alimentava i sospetti di un complotto di Agrippina contro Tiberio, gradualmente la matrona vide diradarsi suoi sostenitori. Sempre più isolata e rifiutatale la possibilità di contrarre nuove nozze, la nipote dell’imperatore sarebbe diventata vittima degli intrighi di Seiano, tanto da essere accusata di comportamenti immorali e condannata nel 29 d.C. all’esilio sull’isola di Pandataria.
Durante la prigionia, avrebbe comunque conservato un atteggiamento fiero e dignitoso preferendo lasciarsi morire per inedia, sebbene avesse anche subito maltrattamenti: la notizia della sua scomparsa, avvenuta nel 33 d.C., fu annunciata dallo stesso Tiberio, che propose un ritratto negativo contrastante con l’immagine attribuita in precedenza ad Agrippina. Ci avrebbe pensato Caligola, una volta diventato imperatore nel 37, a riabilitare la figura materna, facendo seppellire le sue ceneri nel mausoleo di Augusto.
Michele Gatto
Bibliografia
BUCCINO L. 2011, “Morbidi capelli e acconciature sempre diverse”. Linee evolutive delle pettinature femminili nei ritratti scultorei dal secondo triumvirato all’età costantiniana, in E. La Rocca, C. Parisi Presicce, A. Lo Monaco (a cura di), Ritratti. Le tante facce del potere (catalogo della mostra, Roma, Musei Capitolini, 10 marzo – 25 settembre 2011), Roma 2011, pp. 360-383.
KIENAST D. 1996, s.v. Agrippina Vipsania (A. maior), in Der Neue Pauly: Enzyklopädie der Antike, Stuttgart – Weimar, pp. 297-298.
SALVO D. 2010, Germanico e la rivolta delle legioni del Reno, in “Hormos. Ricerche di storia antica” 2, pp. 138-156.
TRAVERSARI G. (a cura di) 1968, Museo Archeologico di Venezia: i ritratti, Roma.
TRILLMICH W. 1994, s.v. Agrippina Maggiore, in Enciclopedia dell’Arte Antica, Roma, pp. 114-115.
VALENTINI A. 2019, Agrippina Maggiore. Una matrona nella politica della domus Augusta, Venezia.