Storie di Piazza San Marco. Simbolo, vanto e specchio della Repubblica
Ricorderete forse che in un precedente post ci siamo occupati delle rotte attraverso le quali molti marmi antichi giunsero a Venezia. In realtà, i marmi colorati hanno grandemente viaggiato dal periodo classico fino a oggi, grandemente apprezzati per la loro bellezza e significato simbolico, nonché valore economico. È una fortuna che molti di essi abbiano terminato il loro viaggio nella città lagunare, trovando a San Marco una sede ideale.
La decorazione marmorea interna ed esterna della Basilica è una forte testimonianza, «oltre che della fede, della munificenza e della ricchezza del popolo veneziano». La chiesa più importante di Venezia, infatti, «doveva essere allo stesso tempo il simbolo, il vanto e lo specchio della Repubblica».
Il monumento marciano è caratterizzato da un’incredibile ricchezza tipologica di marmi e pietre. Se è possibile dire poco sulle sue prime due fasi costruttive; va tuttavia sottolineato che il pavimento della basilica nelle parti più antiche presenta già i più famosi litotipi impiegati dai Romani e dai Bizantini. A partire dal XIII secolo, pietre di spoglio giunsero da Costantinopoli e dalle rovine delle città greco-romane della Grecia, dell’Asia Minore e del Vicino Oriente poste lungo le rotte veneziane in Levante. Ne sono un esempio le grandi quantità di colonne in marmo greco – Cipollino verde (Caristio) e Proconnesio – trasportate in laguna. Ma in città arrivarono anche pietre di cavatura primaria da occidente – come la pietra d’Istria e la breccia di Arbe dalla Dalmazia – e da oriente – come lo stesso Proconnesio, estratto in blocchi nell’isola omonima, oggi isola di Marmara, che fu sotto il controllo dei latini per circa sessant’anni dopo la conquista di Costantinopoli del 1204.
Già utilizzato in età classica ed ellenistica, il marmo proconnesio fu impiegato in epoca romana per la produzione di colonne e altri elementi architettonici ma anche di sarcofagi, vasche, fontane. Nel I secolo d.C. le cave divennero probabilmente di proprietà imperiale. Fu poi il marmo più usato per tutto il periodo bizantino e ottomano ed ebbe una costante fortuna grazie alla sua buona qualità, alla vicinanza delle cave al mare e all’estensione dei suoi giacimenti. Nel medioevo fu anche il marmo di gran lunga più presente nell’edilizia privata e pubblica di Venezia, dove veniva chiamato ‘marmo greco’. In altre città d’Italia il suo nome era talora ‘marmo greco fetido’ o ‘marmo cipolla’, per l’odore acre che emette quando viene lavorato.
Questo materiale costituisce le colonne e i rivestimenti delle più antiche fabbriche romaniche in città, per esempio Ca’ Loredan e Ca’ da Mosto, ma anche pilastri e architravi di portali di chiese come ai Frari e a San Giovanni e Paolo. Si può dire però che il Proconnesio sia il ‘marmo della Basilica’, dove all’interno e all’esterno si distinguono colonne di reimpiego, bianche e listate o zonate di grigio, ma anche rivestimenti con lastre ‘a macchia aperta’, per esempio sulla facciata occidentale. Queste ultime, ottenute con una particolare tecnica di taglio e messa in opera, mostrano un elaborato disegno a losanghe concentriche, simile a quello di certi tessuti preziosi.
Le pietre colorate presenti a San Marco, infine, non solo rispondono a un preciso gusto estetico ma hanno anche significati simbolici – strettamente connessi con la tradizione marmoraria bizantina – che rendono la loro collocazione nei vari punti della chiesa tutt’altro che casuale. Il Porfido Rosso Antico, nell’antichità paragonato alla porpora, era la pietra per eccellenza degli imperatori. Così le lastre in porfido che segnano l’ingresso principale della basilica e quello al presbiterio, o che sono poste davanti all’altare maggiore, avevano il compito di ricordare la maestà e il regno di Cristo. Il marmo Caristio o Cipollino Verde, che assomiglia a un tronco tagliato, richiamava il legno della Santa Croce. Il marmo Iassense o Cipollino Rosso, simile a vene sanguigne, faceva pensare al sacrificio dei martiri, mentre il marmo Sagario – Ossipetro per gli scalpellini veneziani – alle reliquie dei santi. Infine, il marmo Tessalico o Verde Antico, impiegato per la cassa contenente le spoglie di San Marco, evocava la speranza di una vita migliore nell’aldilà. Sempre in Basilica, i due grandi amboni del transetto sono in lastre di Porfido Rosso, quello di destra, a ricordare la regalità del Salvatore e di Verde Antico, quello di sinistra, a testimoniare la sua resurrezione.
Potrete approfondire questi argomenti il prossimo 16 marzo, quando nell’ambito del ciclo di incontri informali del Museo Archeologico Nazionale di Venezia, intitolato Storie di Piazza San Marco, daremo il benvenuto al professor Lorenzo Lazzarini dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia. Il professore parlerà del ‘manto di pietra’ della Basilica e ci guiderà nel riconoscimento delle varie specie di marmo che ne ornano le facciate esterne.
MDP
Per citazioni e approfondimenti:
L. Lazzarini, Le pietre e i marmi colorati della Basilica di S. Marco a Venezia, in Storia dell’arte marciana: l’Architettura, a cura di R. Polacco, Venezia 1997, pp. 309-326; I marmi e le pietre del pavimento marciano, in Il manto di pietra della basilica di San Marco a Venezia. Storia, restauri, geometrie del pavimento, a cura di M. Emmer, L. Fregonese, L. Lazzarini, R. Paier, E. Vio, Venezia 2012, pp. 51-107; Il reimpiego del marmo proconnesio a Venezia, in Pietre di Venezia. Spolia in se spolia in re, a cura di M. Centanni, L. Sperti, Roma 2015, pp. 135-157.
Giovedì 16 marzo, ore 17.15
Piazzetta San Marco, 17
L. Lazzarini – Oriente e Occidente nei marmi di San Marco
Prenotazioni allo 041 29 67 663