Dominae e moda: Giulia Domna, il lato femminile del potere dei Severi

Secondo quanto afferma Cassio Dione, successivamente alla morte di Marco Aurelio, Roma sarebbe passata «da un impero d’oro ad uno di ferro e ruggine»: con l’uccisione di Commodo nel 192 d.C., ebbe infatti inizio un periodo di grave crisi, nel quale l’elemento militare divenne preponderante. La situazione si normalizzò con l’ascesa al potere di Settimio Severo, a partire dal 193 d.C.: di origine africana, Severo diede vita ad una nuova dinastia, nella quale ebbe un ruolo fondamentale la moglie, Giulia Domna. Nata ad Emesa, in Siria, Giulia era figlia di un sacerdote del dio Sole: Severo l’avrebbe sposata, probabilmente nel 187 d.C., proprio perché predestinata da alcuni presagi a essere moglie di un sovrano. Una volta insieme, essi ripresero il principio di successione dinastica ricollegandosi all’ultima fase dell’età antonina: Cassio Dione narra anche di un sogno di Settimio Severo, a cui sarebbe apparsa Faustina Minore (moglie di Marco Aurelio) nell’atto di preparare il letto nuziale per la seconda moglie.

Giulia Domna esercitò una certa influenza sul marito, ricevendo perciò numerosi onori, come ad esempio i titoli di mater castrorum e mater Augusti et Caesaris in relazione ai figli Caracalla e Geta; inoltre, fu la prima augusta a presenziare alla cerimonia dei Ludi saeculares, nel 204 d.C. L’origine orientale di Giulia potrebbe anche aver favorito la svolta autoritaria di Severo, a partire dal 195 d.C., dimostrandone quindi l’abilità dal punto di vista politico unita all’impegno nel campo culturale. Infatti, quando temporaneamente la sua influenza diminuì in favore del prefetto del pretorio Plauziano, ella avrebbe dato vita ad un circolo di intellettuali, che annoverava probabilmente personaggi come Filostrato e Ulpiano. Un fenomeno assolutamente innovativo, in quanto promosso da una figura femminile, ispiratrice di opere letterarie e interessata alle questioni religiose, come testimonia il suo svolgimento di ruoli sacerdotali.

Moneta provinciale in bronzo, Rovescio: Dea Roma elmata e seduta, zecca di Smirne, 214-215 d.C.

Assimilata a diverse divinità, Giulia Domna vide affermato il proprio prestigio attraverso numerosi ritratti scultorei e monetali o iscrizioni dedicatele sia in Oriente, sia in Occidente, capaci di mostrarcene la figura e le caratteristiche peculiari. Un esempio può giungerci dal medagliere del museo, grazie ad una moneta bronzea coniata a Smirne, nella provincia d’Asia (BMC Greek XVI, n. 389): al rovescio, vi è raffigurata la dea Roma elmata e seduta, reggente con la destra un tempio tetrastilo, mentre nella sinistra ha una lancia; la legenda è ΠΡΩ ΑCIAC Γ ΝΕΩΚΟΡΩΝ CΜΥΡ (Prima d’Asia, terza Neokoria, degli Smirnei). Infatti, in occasione del viaggio in Oriente compiuto tra il 214 e il 215 d.C. da Giulia e dall’imperatore Caracalla, la città avrebbe ottenuto per la terza volta un neokoria, cioè il titolo di “guardiana del tempio”, in genere concesso per la costruzione o la dedicazione di edifici sacri al culto imperiale. Al diritto, è presente il ritratto di Giulia Domna insieme alla legenda IOY ΔOMNA CEBACTH (Giulia Domna Augusta): dal volto dell’augusta, il cui busto drappeggiato è volto a destra, emerge soprattutto la pettinatura caratterizzata dall’ondulazione dei capelli sui lati, a coprire le orecchie, per poi ricongiungersi in una voluminosa crocchia intrecciata occupante buona parte del retro del capo.

Questo genere di acconciature si ricollega alla moda delle augustae antonine, che al volgere del III secolo d.C. subì nuove accentuate variazioni, sebbene sia necessario evidenziare un aspetto fondamentale: si trattava in realtà di parrucche. Il loro utilizzo era largamente diffuso, ma in questa fase conobbe una vera e propria esplosione, come riporta anche Tertulliano, tanto da essere addirittura riprodotte nei ritratti scultorei evidenziando le differenze cromatiche e morfologiche rispetto ai capelli autentici, che potevano affiorare in minima parte al di sotto di esse. La tipologia di questo ritratto di Giulia Domna, nonostante la datazione, sembra corrispondere maggiormente a quella di età più giovanile rispetto alla seconda a lei dedicata: inaugurata sull’arco di Leptis Magna, vedeva una calotta più allungata sui lati, con trecce che partendo dalle tempie incorniciavano il volto, ed una crocchia posteriore a cerchi concentrici, primo segnale di un’evoluzione visibile anche tra le altre donne severiane. Infine, la bellezza dei lineamenti del ritratto monetale di Giulia pare confermare quanto riportato dall’Historia Augusta, sebbene questa stessa fonte sostenga di un’improbabile matrimonio incestuoso tra lei e il figlio Caracalla.

Morto Settimio Severo nel 211 d.C., l’impero avrebbe dovuto infatti essere diviso tra i suoi due figli, ma l’anno seguente l’inimicizia tra questi portò al fratricidio di Geta che, secondo Cassio Dione, sarebbe morto proprio tra le braccia di Giulia Domna. Questa, anche durante il regno di Caracalla conservò una posizione di rilievo e, non a caso, proprio in questa fase egli emanò l’editto che concedeva la cittadinanza a tutti gli abitanti dell’impero, forse risultato dell’influsso della madre. Ad essa l’imperatore delegò diversi compiti amministrativi, finché nel 217 d.C., durante una spedizione contro i Parti, Caracalla venne fatto uccidere dal prefetto del pretorio Macrino che ne usurpò il trono. Tuttavia, temendo il prestigio di Giulia e il suo legame con l’esercito, il nuovo imperatore la escluse dai vertici dello Stato per poi esiliarla ad Antiochia: l’augusta, già debilitata da una ferita che si era procurata alla notizia della morte del figlio, decise allora di lasciarsi morire. Elagabalo l’avrebbe in seguito divinizzata, traslandone le ceneri nel mausoleo di Adriano.
Ad ogni modo, Giulia Domna aveva ben esercitato il proprio ruolo di matrona e imperatrice, diventando così un punto di riferimento per le sue succeditrici del ramo siriaco e femminile della dinastia dei Severi.

Michele Gatto

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