Ogni oggetto un viaggio
Ceramiche erranti
Molti collezionisti veneziani del XVIII secolo potevano esibire nelle loro raccolte vasi antichi, venuti da lontano. La gran quantità di materiale che allora dall’Italia centro-meridionale si riversava con prepotenza nel mercato antiquario rendeva le ceramiche oggetti molto ambiti anche in Veneto. Già nella prima metà del Settecento Onorio Arrigoni, celebre appassionato di numismatica, possedeva esemplari in vasi di produzione campana, acquistati durante viaggi fuori regione, alcuni dei quali si trovano oggi al Museo Civico Archeologico di Bologna. I vasi di Arrigoni, in ceramica Campana a figure rosse piuttosto rara in altre raccolte venete, sembrano dunque potersi ricondurre a un acquisto sul mercato antiquario romano. Nella seconda metà del secolo, il patrizio veneziano Angelo Querini tra le numerose antichità della sua ricca collezione, esposte nella villa di Altichiero, vantava anche una serie di vasi antichi dalle fonti coeve definiti «etruschi», come al tempo venivano chiamate le ceramiche greche e magnogreche.
Girolamo Zulian, già ambasciatore veneto a Roma e Costantinopoli, possedeva poco meno di centocinquanta vasi, lasciati in eredità alla Serenissima nel 1795 assieme a marmi classici, pezzi di arte egizia, bronzi e gemme. La raccolta era il risultato di oltre quindici anni di acquisti, influenzati sia dai viaggi e dai contatti derivanti dalla sua attività di diplomatico sia dai consigli di Antonio Canova. Nel fitto carteggio intercorso tra i due amici sono vari gli accenni a ceramiche, comprate a Roma nei primi anni novanta del XVIII secolo. Grazie a queste lettere è stato possibile pure ricostruire il tragitto seguito dalle antichità Zulian che, partite da Roma, viaggiavano via terra, passando per Foligno, fino a Pesaro e poi da lì arrivavano a Venezia per mare.
Nella città lagunare, i Gradenigo e i Nani di San Trovaso possedevano vasi greci e magnogreci di provenienza dalmata, come dichiarano le note in calce agli acquerelli di Giovanni Grevembroch, realizzati per Pietro Gradenigo a metà del Settecento, o in calce alle incisioni del catalogo delle antichità Nani, redatto nel 1815 dall’abate Francesco Driuzzo. In queste due ultime raccolte la ceramica arrivata dall’altra sponda dell’Adriatico era esposta accanto a esemplari greci rinvenuti ad Adria. Alla curiosità per le nuove scoperte si affiancava infatti il sorgente interesse per le antichità e la storia locale, di cui sono testimonianza in Polesine le raccolte Bocchi e Silvestri nonché gli scavi condotti a Este nella seconda metà del Settecento da Tommaso Obizzi per arricchire la grandiosa collezione del castello del Catajo.
Quando si ha a che fare con le ceramiche antiche, luogo di produzione e luogo di provenienza spesso non coincidono. Inoltre, il luogo dove esse sono conservate è talvolta il punto di arrivo di un affascinante viaggio a tappe, affrontato in periodi diversi della loro lunga esistenza di oggetti di pregio, prima d’uso e poi di collezione. Per esempio, per quanto riguarda la ceramica di produzione italiota, gli archeologi si chiedono da tempo se essa sia arrivata in Veneto in antico lungo le rotte commerciali adriatiche per essere poi rinvenuta localmente confluendo nelle raccolte antiquarie, come le ceramiche greche trovate ad Adria, oppure se i vasi siano stati acquistati direttamente sul mercato antiquario settecentesco, giuntivi dalle necropoli dell’Italia centro-meridionale. Le domande che gli studiosi si pongono riguardano quando e quante volte queste ceramiche abbiano viaggiato, per esempio da una sponda all’altra dell’Adriatico come i vasi di Gnathia (produzione apula del IV e III secolo a.C.) arrivati nel XVIII secolo ai collezionisti veneziani dalla costa dalmata.
Persino nel caso della raccolta Zulian, su cui molto si conosce, vi sono margini di dubbio. Si tratta di un insieme piuttosto eterogeneo comprendente ceramiche databili tra il IX secolo a.C. e il V secolo d.C., tra cui quattro cinerari villanoviani ed esemplari in bucchero sottile, ceramica etrusca a figure rosse fino a lucerne cristiane fabbricate in Italia centrale. Tra i vasi greci e magnogreci troviamo esemplari in ceramica ionica del VI secolo a.C., attica a figure nere e attica a vernice nera, esemplari magnogreci a vernice nera, in ceramica di Gnathia. Tra i vasi a figure rosse sono esemplari di produzione apula, pestana e campana (quasi tutti databili tra il 340 e il 320 a.C.) ed etrusca (fine IV – inizio III secolo a.C.).
È ragionevole pensare che i superbi cinerari villanoviani e gli eleganti buccheri della raccolta Zulian siano arrivati dal mercato antiquario di Roma. Lo stesso si può dire, forse, di alcune ceramiche magnogreche che potevano aver richiamato l’attenzione del compratore per l’accuratezza della decorazione. Però, le modeste dimensioni di buona parte dei suoi vasi, specie se confrontata con quanto il mercato poteva offrire all’epoca, sembrano suggerire sia disponibilità economiche non sempre larghe sia la provenienza locale di alcuni di essi. Locale in senso lato cioè dalla Dalmazia veneziana, come nel caso dei vasi in ceramica di Gnathia dei Gradenigo e dei Nani, o locale in senso stretto vale a dire dalla laguna o dall’entroterra veneto.
Forse, il viaggio fu in questi casi più breve di quanto in genere supposto. Forse, a ciò Zulian si riferiva in una lettera a Canova del 1789, quando accennava alla fortuna avuta nel procurarsi «vasi etruschi» in quantità sufficiente ad allestire una piccola stanza del suo museo. La presenza in Veneto di queste ceramiche racconterebbe allora di altri viaggi ancora.
MDP
Foto: cratere a campana a figure rosse, produzione campana, 330-320 a.C. attualmente esposto alla mostra “Argilla. Storie di Viaggi”, Vicenza, Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari; 22 settembre 2022 – 18 giugno 2023
Per citazioni e approfondimenti:
De Paoli, Antonio Canova e il ‘museo’ Zulian. Vicende di una collezione veneziana della seconda metà del Settecento, in Ricerche di Storia dell’Arte, 66, 1998, pp. 19-36; Collezioni ceramiche di fine Settecento e inizio Ottocento al Museo Archeologico Nazionale di Venezia, in Eidola. International Journal of Classical Art History, 10 (2013), 2014, pp. 121-133; F. Driuzzo, Collezione di tutte le antichità che si conservano nel Museo Naniano di Venezia, divisa per classi e in due parti, aggiuntevi le classi di tutte le medaglie, Venezia 1815; I. Favaretto, Le “antichità profane” di Giovanni Grevembroch: disegni dall’antico nella Venezia del xviii secolo, in Aquileia Nostra, LVII, 1986, coll. 597-616; Ceramiche antiche nelle collezioni venete. Lo stato del problema e il punto sulla questione, in Studi sulla grecità in Occidente, a cura di L. Braccesi, «Hesperìa» 14, 2001, Roma, pp. 157-169; Arte antica e cultura antiquaria nelle collezioni venete al tempo della Serenissima, Roma 2002.