«Immagini di immagini»
Al Museo Archeologico Nazionale di Venezia si può studiare l’arte antica –intento dell’allestimento degli anni venti del Novecento ordinato per periodi e stili– e ci si può interrogare sulla società che l’ha prodotta. Dal 21 aprile, in occasione della 59. Mostra Internazionale di Arte Contemporanea, HISTORYNOW proporrà un inedito accostamento tra le immagini del mondo antico e quelle della comunicazione digitale contemporanea, catturate da Marc Quinn nei suoi quadri, suggerendo riflessioni sulla ubiquità delle immagini e sul loro peso per la memoria individuale e collettiva, ieri come oggi.
Nel mondo antico le immagini erano ovunque. Le opere dell’arte figurativa erano destinate agli spazi in cui si viveva: pitture, statue e sculture a rilievo ornavano santuari, piazze, necropoli, case. In Grecia, esse rimandavano direttamente o indirettamente, ma non realisticamente, a eventi storici e sociali concreti come la celebrazione di vittorie, il conferimento di onori, il ricordo di defunti. Le immagini pubbliche, sottoposte a una severa selezione culturale, rappresentavano i temi e i miti cui la polis conferiva un significato elevato e che erano appropriati agli spazi sociali a cui l’opera d’arte era destinata.
I marmi solenni esposti nelle grandi sale del Museo Archeologico, affacciate su piazza San Marco, sono in buona parte repliche di originali, perduti, degli scultori greci del periodo classico e dell’ellenismo. Testimoniano della immensa passione dei Romani per l’arte greca che portò al fenomeno delle copie e alla loro diffusione. Roma costruì un vero e proprio sistema semantico con i modelli greci e, soprattutto tra I e II secolo d.C., le officine imperiali diedero vita a una produzione di copie su larga scala. Così la memoria dei capolavori greci è giunta ai nostri musei, dove l’eredità dell’antichità classica è rappresentata anche da una moltitudine di ritratti pubblici e privati, un vero e proprio «mare di teste.»
Il Museo Archeologico di Venezia non fa eccezione e ne custodisce circa un centinaio, tra cui sono molte le effigi di imperatori. Nel mondo romano, infatti, la diffusione delle loro immagini ufficiali fu capillare. Il ritratti, replicati in gran numero di esemplari grazie a prototipi di corte trasmessi alle varie officine provinciali, manifestavano la presenza del potere centrale in tutto l’Impero. Quegli stessi ritratti talvolta, alla morte del tiranno, incorrevano nella dannazione della memoria (damnatio memoriae) e venivano distrutti nel tentativo di condannarlo all’oblio.
Anche oggi le immagini sono ovunque e il loro numero è aumentato in modo esponenziale con la diffusione dei dispositivi mobili e dei nuovi media. A differenza delle immagini dell’antichità, però, destinate a durare nel tempo, nate da valori condivisi che le rendevano significanti e realizzate per la percezione collettiva in spazi pubblici o per la memoria privata in spazi famigliari, le immagini che appaiono sugli schermi dei nostri cellulari sono momentanee, fuggevoli, fruite individualmente. E, dice Marc Quinn, anche quando vengono fermate in uno screenshot, «nato dall’impulso improvviso a salvare qualcosa per condividere o ricordare», sono destinate a essere dimenticate, giacché memorizzare sul telefono spesso «ci evita il dovere di ricordare».
I suoi dipinti hanno proprio il formato dello screenshot dell’IPhone. E mentre quello «cattura immagini di immagini», essi «trasformano i pixel in materia e ancorano l’oggetto virtuale al mondo reale», dandogli la possibilità di non essere dimenticato. Sospendono dunque il fluire continuo delle immagini selezionandone alcune tra moltissime altre e, attraverso la mediazione dell’arte, trasformandole in memorie durevoli. Collocandole infine in uno spazio pubblico collettivo, il museo, Quinn invita l’osservatore a riflettere sulle forme della comunicazione digitale e al contempo ne catalizza l’attenzione su storie importanti per esempio degli eroi della pandemia –ovvero su ciò che è importante nelle storie “frivole” di personaggi pubblici– nonché su temi su cui oggi occorre interrogarsi, come il cambiamento climatico.
MDP
Citazioni: M. Beard, J. Henderson, Classical Art. From Greece to Rome, Oxford 2001, p. 207; Marc Quinn in conversazione con Jefferson Hack, in HISTORYNOW, Catalogo della Mostra, Milano 2022, pp. 57-62.